(da leggere durante il pomeriggio)
Il giorno dell’omicidio nessuno nei paraggi
Compro Horror, Caparezza, Museica, 2014
tranne i registi già pronti con i lungometraggi.
Un delitto tira l’altro come ciliegie,
brindiamo con i globuli dei teenagers.
Intorno alle ore 16:30 circa posizionatevi sul vostro divano o sulla vostra poltrona (1). Prendete il telecomando del vostro televisore e premete il tasto di accensione (2 e 3). Il telecomando, a questo punto, manderà un segnale al televisore e, quest’ultimo, farà comparire delle immagini in movimento, come queste (4) o queste (5), accompagnate da un gioioso ritornello o da una musica trionfale.
Restate seduti ad ascoltare, spostate il telecomando su un tavolino o di fianco a voi e gustatevi lo spettacolo, o meglio il processo (6).
Utilizzando uno schema all’interno del quale vengono racchiuse caratteristiche tipiche della soap opera, del talk show, della cronaca giudiziaria e della televisione del dolore, i programmi della fascia televisiva pomeridiana come La vita in diretta e Pomeriggio Cinque riescono a ricreare l’ambiente dell’aula di giustizia, esacerbando le emozioni.
Non importa se il caso mediatico sia già iniziato da giorni o mesi, riuscirete sempre ad ottenere le informazioni giuste per poter comprendere la storia dal principio, come se vi trovaste davanti ad una qualsiasi puntata di Beautiful. Il processo mediatico, infatti, riprende le caratteristiche della serialità televisiva. Il campo processuale si interseca con quello filmico, generando una narrazione cinematografica o letteraria in cui il conduttore o la conduttrice porta avanti la storia come se fosse il narratore onniscente de I fratelli Karamazov o raccontando gli eventi come in Barry Lyndon. In questo modo, il conduttore si muove tra i personaggi principali della vicenda e quelli secondari, chiamati a dare la loro opinione riguardo all’evento successo.
Il processo mediatico può durare pochi giorni, mesi o anni ma la struttura non cambia: i pochi indizi che fuoriescono dalle indagini investigative bastano per poter puntare il dito contro qualcuno che viene immediatamente identificato come il carnefice. A lui spetta la gogna mediatica. La vittima è già conosciuta e verso di essa si rivolgono gli elogi e gli encomi della televisione e dei suoi protagonisti.
Una piccola parentesi sul carnefice immigrato, quando si parla di cronaca nera, è necessario che venga aperta. Infatti, durante il processo mediatico è possibile sia che la parte della vittima venga “affidata” ad una persona straniera, sia che essa abbia il ruolo di “carnefice”. Il problema si viene a creare quando una certa appartenenza nazionale o immaginari tratti etnici distintivi vengono considerati importanti per comprendere la notizia. E ancor di più, essere stranieri durante il processo mediatico è un valore aggiunto se si è carnefici ma una penalizzazione se si è vittime. Anche se come dice Annamaria Rivera nel capitolo Immigrati, ci sono stranieri considerati tali anche se non lo sono e altrettanti che non vengono percepiti neanche come stranieri.
Chiudendo la parentesi, ci viene in mente una domanda. E il giudice? Non esiste. Forniti gli argomenti a sfavore di uno e a favore dell’altro da parte dei presentatori, il pubblico pagante non ha bisogno del verdetto. Poco importa se il vero tribunale successivamente assolverà il condannato nel processo mediatico, gli spettatori saranno dell’opinione opposta. Del resto, la giustizia è un’opinione.
Una volta conclusosi il processo mediatico relativo ad un determinato caso, i vari programmi televisivi della fascia pomeridiana ne iniziano uno nuovo. Pubblico e televisione, quindi, si fanno compagnia nelle tristi serate pomeridiane, uno inizia la sigaretta e l’altro un processo mediatico che del resto è come la sigaretta del fumatore, non sarà mai l’ultima.
Fonti
Faso, G. (2009). La lingua del razzismo: alcune parole chiave. In G. Naletto (A cura di), Rapporto sul razzismo in Italia (p. 29-36). Roma: manifestolibri.
Polesana, M. A. (2010). Criminality show. La costruzione mediatica del colpevole. Roma: Carocci.
Rivera, A. (2012). Immigrati. In R. Gallissot, M. Kilani, & A. Rivera, L’imbroglio etnico: in quattordici parole-chiave (p. 201-220). Bari: Dedalo.