È aperta la caccia permanente al nero. Data la ferocia di tali bestie […] e poiché scorazzano per il territorio in branchi, si consiglia di operare battute di caccia in gruppi di almeno tre uomini.
Volantino diffuso nei giorni precedenti la morte di Jerry Essan Masslo
Fuori dal contesto queste frasi potrebbero comparire in un qualsiasi film ambientato negli Stati Uniti d’America durante gli anni della segregazione razziale (è finita?), in Mississippi Burning o in un qualsiasi film di Spike Lee. Se contestualizzate, invece, mostrano una realtà che facciamo fatica a considerare. Sono le parole apparse in un cartellone alla periferia di Caserta e hanno circolato come volantini per la città. In che periodo storico le collochereste? Quanto è lontano nel tempo per voi il razzismo? Oggi è più vicino che mai. Il sito cronachediordinariorazzismo.org raccoglie in rete le segnalazioni di atti discriminatori, razzisti, xenofobi e umilianti. Dal primo gennaio 2019 ad oggi le segnalazioni sono 131 (numero che cambierà quando pubblichiamo): dall’offerta per i poveri italiani in primis e gli stranieri per ultimi, alla testimonianza di uno studente gambiano che alle Poste non viene creduto riguardo i suoi studi, entrambe degne di far parte dei divertenti quanto inquietanti Imbarazzismi. Quotidiani imbarazzi in bianco e nero di Kossi Komla-Ebri.
Torniamo alla nostra frase. Siamo ad agosto e siamo a Villa Literno, nel casertano. È il 1989. Sono passati trent’anni da quando a quei volantini è seguito l’omicidio di Jerry Essan Masslo.

Chi era Jerry Essan Masslo?
La storia di Masslo è l’emblema della condizione di limbo dentro il quale sono costretti a stare i richiedenti asilo: arriva in Italia dal Sudafrica, da dove scappa a causa del regime dell’apartheid; non gli viene concesso l’asilo politico perché ad usufruirne, in quegli anni, erano soltanto le persone provenienti dal Blocco Sovietico. Masslo, allora, chiede protezione al governo canadese e in attesa di una loro risposta si reca a Villa Literno a raccogliere pomodori durante la stagione estiva. Per due estati conduce la vita del bracciante vivendo in condizioni disumane con un salario da fame. Qui, nel casertano, trova la morte durante una rapina ai suoi danni. Gli abitanti di Villa Literno si chiudono nel silenzio e non vogliono commentare l’omicidio, lo stesso sindaco Fabocci della giunta comunale PCI/DC accusa i giornali di definire il paese razzista, ammettendo che ci sono stati episodi discriminatori ma non per questo di razzismo. Qualcosa, però, nella rappresentazione della società italiana si è rotto, ha cambiato verso. La morte di Jerry Essan Masslo ha un’eco incredibile in tutto il Paese: la CGIL chiede i funerali di Stato per il ragazzo sudafricano; il mese successivo viene indetto lo sciopero dei braccianti, che rappresenta una delle più importanti azioni sindacali della storia dell’operaismo; a settembre si svolge a Milano una manifestazione che segna l’inizio della presa di coscienza dell’antirazzismo italiano.
Da quel 25 agosto 1989 tanti altri omicidi, nel nome della xenofobia e del razzismo, sono stati commessi e poi dimenticati. Uno soprattutto ci sembra essere affine a quello di Masslo: la morte di Soumayla Sacko.
Chi era Soumayla Sacko
Proveniente da un piccolo villaggio lontano dalla capitale del Mali, Bamako, Soumayla era arrivato in Italia, come tanti, in cerca di un lavoro che potesse mantenere lui e la sua famiglia. Abitava in quella che viene definita dai media nazionali “la baraccopoli di San Ferdinando”, in una abitazione di fortuna realizzata con qualche pezzo di lamiera. Proprio mentre cercava, assieme ad altri due ragazzi, dei materiali per la sua casa, il 2 giugno 2018, un colpo sparato da un fucile da caccia lo ha raggiunto. Al contrario di Jerry Essan Masslo, l’omicidio di Soumayla non ha seguito nell’opinione pubblica. Il 4 giugno viene organizzata una manifestazione a Rosarno da parte degli abitanti della “baraccopoli” di San Ferdinando per chiedere condizioni di vita più dignitose; il giorno dopo, durante il discorso di insediamento, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ricorda la morte di Sacko, cui segue un forte applauso del parlamento. Da quel giorno la sua memoria è diventata sempre più fioca.

Cos’è la violenza strutturale?
Con questo termine non si indicano aggressioni sanguinose o azioni criminali ma si suggerisce una violenza compiuta a partire dalla struttura della società stessa. Si tratta di una violenza che, quindi, non è necessariamente compiuta da un attore sociale, poiché è storicamente data ed economicamente guidata, ed è rivolta verso i soggetti più marginali della società, tra cui gli immigrati.
A partire da questo concetto, quindi, affermare che Masslo e Sacko siano stati vittime di atti di razzismo e discriminazione è riduttivo. Le loro condizioni di subalternità e di marginalità sono state generate dalla società stessa: da un sistema economico che li tratta come nuovi schiavi; da un sistema politico che li considera un problema del quale non si deve fare carico; da una società che li mette all’ultimo posto tra le persone bisognose di aiuto.
A trent’anni da quelle frasi stampate sui volantini, la continua rappresentazione distorta dell’articolato fenomeno dell’immigrazione, quindi, assurge a veicolo di violenza strutturale, in quanto gli attori individuali delle migrazioni, siano esse per motivi di lavoro che per motivi umanitari, sono confinati in spazi non visibili, in interstizi urbani e mediali. In questo modo, però, si crea un’ambiguità di fondo: da un lato, l’immigrato è un attore passivo, una vittima, un sofferente, un profugo, oggetto delle politiche umanitarie; dall’altro, è un freddo calcolatore che persegue i propri interessi, un migrante economico, un attore attivo nella scelta della meta di destinazione del suo viaggio. Sia nel primo, sia nel secondo caso, la loro condizione, sul territorio italiano, così come all’interno del teleschermo, assume le caratteristiche della marginalità. In questa condizione, gli attori sono portati a vivere di espedienti, a lavorare in “nero”, abitare in luoghi abbandonati. Ad essa è strettamente connessa l’illegalità del vivere e della propria condizione di vita, come nel caso del clandestino, emblema della violenza strutturale.
La discriminazione e il razzismo, allora, costituiscono una parte di un problema più grosso rappresentato dalla violenza strutturale e da quella simbolica che continuano a perpetuarsi nella società, attraverso un continuo utilizzo del linguaggio dell’odio e di atteggiamenti di razzismo ormai sdoganati e legittimati.
Fonti
Archivo storico del quotidiano La Stampa.
Alberto Burgio, Gianluca Gabrielli, Il razzismo, Ediesse, Roma, 2012.
Michele Colucci, Storia dell’immigrazione straniera in Italia. Dal 1945 ai nostri giorni, Carocci, Roma, 2018.
Paul Farmer, Un’antropologia della violenza strutturale, Antropologia(8), 17-49, 2006.